Conflitto Israelo-Palestinese

Il conflitto israelo-palestinese rappresenta oggi non solo una tragedia umanitaria, ma anche una ferita politica che mina la credibilità dell’Europa e dell’Occidente di fronte al mondo, il diritto internazionale e la stabilità dell’intero Mediterraneo.

L’assedio della Striscia di Gaza, con bombardamenti continui, l’uso della fame come arma di guerra, demolizioni in Cisgiordania e violenze dei coloni difese e aizzate dai ministri del governo israeliano, configurano pratiche che le principali istituzioni internazionali definiscono come crimini di guerra e, in alcuni casi, come crimini contro l’umanità. A ciò si aggiunge un’occupazione militare pianificata che – all’evidenza – punta a divenire annessione permanente. Il risultato è la distruzione materiale e morale di un popolo, privato di diritti fondamentali e di prospettive future. Di fronte a ciò, non è più possibile accettare la narrativa della “legittima difesa” quando essa si traduce nella punizione collettiva di milioni di civili.

Allo stesso tempo, non si può ignorare che Hamas rappresenta un ostacolo strutturale alla pace, avendo imposto un regime dittatoriale a Gaza e sacrificato la popolazione palestinese in nome di una lotta senza sbocco politico. La strategia israeliana basata su una continua azione militare e sull’isolamento economico si è rivelata inefficace nel neutralizzare Hamas, che è profondamente radicato nel territorio e ha mostrato una notevole capacità di adattamento. Esperti ed ex funzionari della sicurezza israeliana hanno espresso scetticismo riguardo al fatto che la superiorità tattica di Israele possa tradursi in un successo strategico duraturo, avvertendo che la guerra di logoramento potrebbe essere controproducente.

L’errore più grave sarebbe cadere nella logica binaria che oppone un terrorismo legittimante a una repressione legittimata: entrambi minano la soluzione a due Stati e perpetuano il ciclo della violenza. La sottoscrizione degli accordi di Oslo (1993), con il riconoscimento reciproco tra Israele e OLP e la creazione della Autorità Nazionale Palestinese (ANP), sembrava aver aperto la strada ad una possibile normalizzazione dei rapporti tra le due popolazioni, dopo decenni di guerre e violenze, attraverso la soluzione “due popoli in due stati”. La caratteristica esclusivamente bilaterale della trattativa e la conseguente mancanza di garanzie da parte di altri attori regionali o internazionali, ha all’evidenza fatto mancare quella spinta catalizzatrice necessaria a giungere ad una soluzione concreta. Mentre l’Europa e l’Occidente hanno voltato lo sguardo altrove, nella regione c’è stata una crescita esponenziale delle fazioni estremiste, che si sono mutualmente legittimate verso le rispettive opinioni pubbliche. Si è quindi ingenerata una spirale di violenza che non si è più fermata, fino a culminare nell’azione criminale compiuta da Hamas il 7 ottobre 2023.

Occorre spezzare l’impunità e rilanciare la pace attraverso strumenti concreti. L’Italia non può fermare da sola Israele, ma essa, unitamente all’Europa, ha la responsabilità di abbandonare la sua posizione attendista e assumere un ruolo attivo. Gli obiettivi a breve termine sono quattro.

Primo, l’Italia deve riconoscere lo Stato di Palestina, entro i confini del 4 giugno 1967 (Green Line), come segnale politico forte che restituisca dignità e diritti ai palestinesi, e dovrebbe far leva sulla propria posizione in Europa affinché altri compiano questo passo.

Secondo, l’imposizione di un embargo sulle armi e di sanzioni mirate contro i leader israeliani responsabili delle violazioni, così come il sostegno a procedimenti della Corte Penale Internazionale.

Terzo, la costruzione di corridoi umanitari garantiti e la presenza europea sul terreno, con ospedali militari protetti e missioni civili in grado di assicurare l’accesso degli aiuti e la protezione dei civili.

Quarto – obiettivo di difficile attuazione nel contesto internazionale attuale, di cui pero’ l’Italia e l’Europa hanno il dovere di farsi promotori – l’istituzione di una missione internazionale in cooperazione con gli USA e con i paesi arabi del Patto di Abramo, allo scopo di tutelare la popolazione locale, supervisionare ed eseguire la bonifica del territorio dagli ordigni, sigillare i tunnel, favorendo al contempo la ricostituzione di una leadership moderata, che coinvolga anche la diaspora Palestinese.

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