Interruzione Volontaria di Gravidanza

Nella giornata internazionale per l’aborto libero e sicuro presentiamo la proposta del Drin Drin per garantire l’autodeterminazione delle donne.
In Italia l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è regolamentata dalla legge 194/1978, che permette l’aborto entro i primi 90 giorni di gestazione. Tuttavia la sua applicazione è ostacolata da vari fattori, tra cui l’alta percentuale di medici obiettori: nel 2021 il 63,4% dei ginecologi, il 40,5% degli anestesisti e il 32,8% del personale non medico hanno sollevato obiezione di coscienza nelle strutture pubbliche e in quelle private. Queste percentuali non descrivono il problema della difficoltà all’accesso al servizio in quanto permane una forte variabilità per area geografica (divario Nord Sud con percentuali ancora maggiori nelle regioni del sud) e il sistema di raccolta dati non è peraltro esaustivo (non sono conteggiate per esempio le donne che accedono alle strutture e che non portano a termine il percorso).
Il 28 settembre si celebra la giornata internazionale per l’aborto libero e sicuro e come partito vogliamo compiere un passo storico e affermare con chiarezza che la salute sessuale e riproduttiva è parte della salute pubblica, e che lo Stato deve garantirne l’accesso equo e universale. Costruire un Paese più giusto significa riconoscere che l’autodeterminazione delle donne è un pilastro della democrazia. L’IVG deve essere sancita come diritto fondamentale che deve essere rafforzato nella legislazione nazionale: non una concessione, ma un diritto pieno e inalienabile, parte integrante della salute pubblica, della cittadinanza e della dignità personale. Per questo proponiamo:
  1. Di seguire l’esempio della Francia dichiarando l’IGV come diritto fondamentale.
  2. Eliminare il periodo di attesa obbligatorio che impone alla donna un periodo di attesa di 7 giorni tra la data di rilascio del certificato medico e l’effettivo intervento di IVG.
  3. Di estendere i limiti temporali per IVG farmacologica fino a 12 settimane, introducendo la telemedicina, come già avviene in diversi Paesi europei. È inoltre essenziale che l’Italia recepisca le raccomandazioni dell’OMS, che riconosce la self-managed abortion (con mifepristone e misoprostolo come opzione sicura fino a 12 settimane), purché accompagnata da informazioni affidabili e dalla possibilità di referral sanitario.
  4. Di rafforzare il monitoraggio dei dati in modo che le Regioni e le Aziende Sanitarie garantiscano la presenza di personale non obiettore in ogni ospedale o almeno in ogni area territoriale, ricorrendo a mobilità, concorsi dedicati e misure strutturali.
  5. Di rendere vincolante il principio del duty to refer: il medico obiettore ha l’obbligo di indirizzare immediatamente la paziente a un collega non obiettore, senza ritardi o ostacoli. Per garantire trasparenza, vanno creati elenchi regionali di medici non obiettori, consultabili e aggiornati.
  6. Di trasferire alcune attività dell’aborto farmacologico a ostetriche, infermieri e medici non specialisti, per ridurre l’impatto dell’obiezione e garantire capillarità del servizio (task shifting).
Troppo a lungo l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è stata trattata come un compromesso fragile, continuamente esposto a ostacoli e diseguaglianze. Per troppo tempo l’obiezione di coscienza ha limitato l’accesso all’IVG, generando diseguaglianze territoriali e costringendo troppe donne a migrare o a rinunciare. Non possiamo più permettere che un diritto venga svuotato nella pratica. Questa proposta è una scelta di civiltà politica: significa affermare che la salute riproduttiva è parte della salute pubblica, che la libertà delle donne non è negoziabile e che lo Stato deve essere garante – non ostacolo – dell’autodeterminazione di ogni suo cittadino.

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