Nel dibattito sul Ponte sullo Stretto di Messina scegliamo la strada dei fatti. Abbiamo analizzato con attenzione dati demografici, flussi di traffico, valutazioni economiche, impatti ambientali e profili di gestione. Dalle evidenze emerge una verità scomoda ma imprescindibile: nelle condizioni attuali il progetto non produce benefici proporzionati ai costi e presenta rischi significativi per i conti pubblici. Per questo chiediamo un riposizionamento strategico della politica delle infrastrutture nel Mezzogiorno, fondato su priorità concrete, trasparenza e responsabilità.
Allo stato attuale risultano disponibili due analisi costi-benefici relative al progetto del Ponte sullo Stretto di Messina: la prima, realizzata alla fine del 2023, costituisce un aggiornamento della precedente analisi elaborata nel 2012 dal Centro di Economia Regionale, dei Trasporti e del Turismo (CERTeT) dell’Università Bocconi, su mandato della Società Stretto di Messina S.p.A. e tuttora disponibile sul sito della stessa società; la seconda è stata elaborata da Bridges Research. Oltre a queste due valutazioni, si segnala anche l’esistenza di un audit condotto da KPMG, attualmente non accessibile al pubblico, e di un aggiornamento dei flussi di traffico originariamente sviluppato nei primi anni Duemila su incarico della Società Stretto di Messina S.p.A., recentemente aggiornato, che rappresenta il risultato dell’attività di coordinamento di diversi professionisti e integra i risultati contenuti nella relazione di Steer “Collegamento stabile tra Sicilia e Calabria: aggiornamento della domanda di mobilità”, anch’essa disponibile sul sito della Società Stretto di Messina S.p.A.
Si segnala inoltre uno studio di Uniontrasporti, realizzato in collaborazione con Openeconomics nel 2024, che non costituisce una vera analisi costi-benefici ma una stima dei potenziali benefici economici legati alla fase di cantiere, senza un confronto con i costi complessivi per la collettività. È utile ricordare che Openeconomics è la stessa società di consulenza nota per l’analisi sul Superbonus, caratterizzata da moltiplicatori economici ampiamente smentiti dall’evidenza empirica e dai report dell’Agenzia delle Entrate e dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio.
Il primo dato che non possiamo ignorare riguarda la domanda di trasporto. In un arco di vent’anni, i passeggeri in traghetto sullo Stretto sono diminuiti del 19%, mentre nel medesimo periodo i voli da e per la Sicilia sono esplosi registrando un piú 182%. I camion traghettati sono calati del 45% e il traffico merci ferroviario dell’86%; se guardiamo ai veicoli, tra il 1991 e il 2019 i veicoli leggeri scendono del 29% e i pesanti del 42%. Anche la dinamica demografica ed economica del Mezzogiorno conferma questo quadro. Sicilia e Calabria hanno perso residenti rispetto a vent’anni fa; le proiezioni statistiche nazionali indicano ulteriori diminuzioni, più marcate proprio nel Sud. Meno popolazione, età media più elevata, base produttiva fragile e pendolarismi in riduzione spingono verso una minor domanda di mobilità. Scommettere su un’opera pensata per grandi volumi costanti di passeggeri e merci significa ignorare la struttura della domanda attesa nel prossimo ventennio.
Tuttavia, l’analisi delle stime di traffico pubblicate sul sito della Società Stretto di Messina S.p.A., limitandosi al solo ultimo decennio e non considerando l’intera serie storica disponibile, giunge a rilevare una correlazione negativa tra andamento demografico e flussi di traffico. Una scelta di perimetro temporale così ristretta rischia di offrire una rappresentazione parziale del fenomeno, soprattutto alla luce delle dinamiche di lungo periodo. Nonostante ciò, lo studio proietta per gli anni successivi una crescita annua dell’1,5% per la mobilità passeggeri e del 2% per quella delle merci (pag. 73), ipotizzando quindi un’inversione di tendenza non pienamente supportata dai dati storici. Una simile assunzione sembra confondere la disponibilità di un’infrastruttura con l’esistenza di una domanda: costruire un’opera di capacità eccezionale non genera automaticamente il traffico che la giustifichi, perché è l’economia reale a creare la mobilità, non il contrario.
Neppure l’argomento ambientale, spesso richiamato, giustifica l’opera. La sola costruzione del ponte comporterebbe un “debito” di circa 1,4 milioni di tonnellate di CO₂, che verrebbe compensato solo dopo molti anni di esercizio. Tale beneficio, peraltro, risulta strettamente dipendente dal mantenimento dell’attuale impatto climatico delle modalità di trasporto alternative. Tuttavia, gli obiettivi europei di neutralità climatica al 2050 prevedono una progressiva decarbonizzazione del settore, riducendo nel tempo il divario emissivo tra le diverse opzioni di trasporto. Di conseguenza, i presunti vantaggi ambientali dell’opera andrebbero sensibilmente ridimensionati.
Da queste diverse valutazioni emergono conclusioni divergenti: l’analisi indipendente di Bridges Research stima un Valore Attuale Netto economico negativo, nell’ordine di diversi miliardi di euro, mentre l’aggiornamento dell’analisi del CERTeT restituisce invece un risultato positivo. Va inoltre sottolineato che lo studio di Bridges Research applica la cosiddetta “legge di ferro” dei megaprogetti, secondo cui, nel caso di grandi opere, i costi tendono a lievitare, i tempi ad allungarsi e i benefici a ridursi rispetto alle previsioni iniziali. Il Ponte sullo Stretto, per le sue caratteristiche tecniche, la complessità gestionale e l’incertezza della domanda, presenta molti degli elementi che, secondo la “legge di ferro” dei megaprogetti, lo collocano tra le opere a più alto rischio di sforamento.
Altro elemento di dubbio è costituito dalla manutenzione e gestione dell’opera una volta realizzata. Le stime ufficiali parlano di costi annui di esercizio e manutenzione vicini ai cento milioni di euro. I ricavi da pedaggi, sulla base dei volumi ipotizzati e di tariffe compatibili con i redditi locali, secondo una prima stima comparsa su lavoce.info coprirebbero una frazione limitata della spesa.
Le perplessità non sono solo tecniche. La Corte dei Conti ha sollevato rilievi sulla correttezza dell’iter, chiedendo chiarimenti sulle stime di traffico e sui criteri di scelta dei consulenti e sulla coerenza delle voci di costo. Finché queste domande non ricevono risposte trasparenti e documentate, procedere significa chiedere un atto di fede ai cittadini. Non è così che si governa una spesa eccezionale.
I confronti internazionali, spesso evocati come rassicurazione, in realtà invitano alla cautela. Il Tunnel della Manica ha faticato per anni, con costi finali superiori alle attese e traffico iniziale sotto le previsioni, nonostante collegasse mercati vastissimi e dinamici come Londra e Parigi. Il ponte di Øresund funziona perché ha unito due aree metropolitane ricche e integrate, ma ha richiesto tempo, gestione manageriale e un tessuto economico che sullo Stretto oggi non esiste. Se progetti con bacini così solidi hanno sofferto, non c’è motivo di credere che Messina–Villa San Giovanni faccia eccezione senza basi di domanda comparabili.
Anche ammesso che il ponte abbia un rendimento economico netto positivo, la domanda vera è un’altra. Tra tutti gli investimenti infrastrutturali possibili in Sicilia e in Calabria, è davvero questo quello con il rendimento maggiore? Le risorse pubbliche sono scarse e hanno usi alternativi: vanno dirette prima alle opere che sbloccano più domanda reale, più produttività, più mobilità interna, più integrazione dei mercati del lavoro. Siamo sicuri che il ponte renda più dell’ampliamento e ammodernamento degli aeroporti siciliani e calabresi? Più del completamento della Palermo–Catania–Messina? Più della ferrovia ionica verso Basilicata e Puglia? Più della modernizzazione del sistema autostradale interno siciliano o di campus universitari veri, attrattivi, per Sicilia e Calabria? Se la risposta è “non lo sappiamo”, ed è la risposta più onesta alla luce dei dati, allora l’unica decisione razionale è rinviare l’opera e finanziare prima quelle infrastrutture che aumentano davvero l’accessibilità interna, la competitività logistica, l’integrazione dei mercati del lavoro e la capacità formativa del Sud. È questo il modo serio per dire no al ponte: non per pregiudizio, ma perché ci sono investimenti migliori.
Chiediamo al Governo di fermarsi e di rimettere al centro una politica infrastrutturale seria, trasparente e orientata ai risultati. Le priorità sono altre: completare e velocizzare la Palermo–Catania–Messina; modernizzare la dorsale tirrenica in Calabria; eliminare i colli di bottiglia, digitalizzare la gestione, aumentare la frequenza e la puntualità dei servizi regionali; potenziare porti e retroporti; mettere in sicurezza la viabilità secondaria e i nodi urbani.